Il campanaro di Leffe Tarcisio Beltrami intervistato dall’Antenna di Leffe
IL CAMPANARO
Caldo pomeriggio di una domenica d’estate, località Ceride, il Signor Tarcisio Beltrami (Fèlis), leffese, classe 1922, è seduto ad un vecchio tavolo, sotto un pergolato d’uva, vicino a lui il figlio Floriano e la nuora.
Occhi vivacissimi, memoria di ferro, racconta con entusiasmo la sua lunga esperienza di sacrestano e campanaro nella parrocchia di Leffe.
“Mio padre Pietro Beltrami faceva il sacrista, alla sua morte ho preso il suo posto, ho fatto il sacrestano dal 1946 al 1966 poi mi è subentrato Pietro Zenoni (Pinotì) che ha svolto la sua opera dal 1966 al 1986.
Sono sempre stato appassionato del suono delle campane; a circa 7 anni ho cominciato a suonare da autodidatta le campanine di vetro, me le aveva costruite il Signor Giuseppe Gelmi (Pì Manöga), utilizzando materiali poveri: legno, corda, colla da falegname, pezzetti di vetro e tanta, tanta pazienza e bravura.
Da ragazzino andavo a Gandino per imparare il mestiere di ciabattino; la bottega era vicina al campanile e mentre lavoravo ascoltavo il suono delle campane della basilica, arrivato a casa riproducevo quelle melodie sulle mie campanine.
Verso i 13 anni ho iniziato a suonare le campane delle chiese di San Martino (le campane erano 5 come oggi) e di Santa Elisabetta (le campane allora erano 2 mentre oggi sono 5).
Poi finalmente ho potuto suonare le campane della nostra Parrocchiale di San Michele Arcangelo.
Ricordo che nei giorni feriali suonavo la campana dell’Ave Maria alle 5 del mattino, mentre la domenica bisognava suonarla alle 4.30 perché alle 5 c’era già la prima messa; d’estate invece l’Ave Maria veniva suonata alle 4 ed alle 4.30 c’era la prima messa.
Suonavo l’Ave Maria 3 volte al giorno: all’alba, a mezzogiorno e al tramonto; suonavo poi le campane per tutte le messe.
Per i Battesimi, che venivano celebrati nei giorni feriali, suonavo l’allegrezza.
Ricordo che quando è stato battezzato mio figlio Virgilio, che adesso ha 61 anni, è stata suonata l’allegrezza in 4 campanili: io ho suonato in San Michele, alcuni amici hanno suonato in San Martino, San Rocco e Santa Elisabetta.
Quando mi sono sposato con mia moglie Anna Maria le campane sono state suonate da mio zio che mi fece anche una bella sorpresa: sulla porta principale della parrocchiale mise i paramenti rosso damasco e oro e il pizzo bianco.
Purtroppo non si suonava solo l’allegrezza, c’era anche il suono triste per i funerali; il suono però non era uguale per tutti come adesso, c’erano le “classi”: la prima era per i più benestanti, la quinta era per i funerali di carità; la campana più grossa veniva suonata solo per i funerali di prima classe; praticamente più eri povero e meno campane suonavano ed il loro suono diventava man mano meno grave e più breve.
Del resto era così anche per i matrimoni, per i battesimi e per gli uffici funebri: più si pagava, più le campane suonavano…
Nelle feste principali di San Michele e Sant’Agnese c’era l’obbligo di suonare l’allegrezza per gli otto giorni precedenti: per i primi cinque veniva suonata solo a mezzogiorno mentre nei tre giorni antecedenti la solennità veniva suonata al mattino, a mezzogiorno ed alla sera.
Per le festività del Natale, della Pasqua, del Corpus Domini e della Pentecoste l’obbligo di suonare l’allegrezza si riduceva a soli 4 giorni prima.
Tra i vari impegni che svolgevo da sacrestano c’era anche quello di servire le messe in latino.
Altro obbligo del campanaro era quello di ricaricare a mano, con un meccanismo a pietra, un giorno si ed uno no, l’orologio pubblico; proprio perché si trattava di un servizio pubblico era il Comune che mi pagava, prendevo tremila lire all’anno, una miseria per l’impegno che ci mettevo; una volta provai a lamentarmi col Sindaco e gli dissi che con quei soldi non riuscivo a comprarmi nemmeno le scarpe che si usuravano nel salire e scendere le lunghe scale del campanile; lui mi rispose allora di salire a piedi nudi…
Successivamente l’orologio pubblico è stato abbassato di un piano e dotato di un’autonomia di 72 ore; adesso è elettrico.
Il suono che più spaventava la gente era “la campana a martello” , la prima campana veniva suonata in caso di calamità, anche di notte, il più delle volte per avvisare la popolazione che era scoppiato un incendio, così che accorresse per aiutare a spegnarlo; da un bel po’ di anni però non si suona più, molti si sentivano male per la paura, e poi oggi c’è il telefono, ci sono i pompieri…
Il suono grave del campanone veniva usato anche per avvertire che era in atto la vaccinazione antivaiolosa e, alle 11 di sera del martedì grasso, per annunciare la fine del Carnevale e l’inizio della Quaresima: capitava in quell’occasione che entrassero nel campanile persone ubriache che volevano suonare le campane, avevo un bel da fare a buttarle fuori.
Anche la campana che annunciava l’agonia di una persona da tempo non si suona più: la quinta campana veniva suonata per 5 volte; succedeva però a volte che il povero moribondo udisse quel suono e chiedesse spaventatissimo se la campana suonava per lui: i parenti cercavano allora di rassicurarlo dicendo che no, non suonava per lui ma per un moribondo di una casa lontana.
Una volta venne suonata l’agonia per una signora che stava male: la signora fortunatamente si riprese e visse felicemente ancora un bel po’ di anni.
E’ sempre la quinta campana che ancora oggi annuncia la morte di un cristiano: prima suona 3 volte, poi si ferma, poi suona altre 5 volte e si ferma ancora, infine suona 7 volte: sono i 15 misteri del Santo Rosario.
Uno dei ricordi più tristi della mia vita di campanaro è collegato alla morte dei miei genitori: nonostante il dolore volli suonare personalmente la campana.
Mio padre ebbe la forza di suonare quella campana quando morì di malattia sua figlia Agnese, mia sorella, di soli 19 anni, era nata nel 1935.
Ero giovane quando, durante la Seconda Guerra Mondiale, vennero tolte le campane; l’Italia era in guerra e serviva il loro metallo per gli armamenti della patria.
A Leffe, in quell’occasione, ci fu una grossa discussione: l’allora podestà De Ruschi, obbligato dalle leggi fasciste, doveva far togliere un certo numero di campane, la famiglia Pezzoli “Bachì”, proprietaria della terza campana di San Michele, non ne voleva sapere di rinunciarvi; si pensò allora di togliere le campane di San Martino ma la gente in massa si rifiutò; alla fine si decise di togliere dal campanile di San Michele le 3 campane più grosse (compresa quella dei Bachì), e la parrocchiale restò con sole 5 delle 8 campane, altre 4 vennero tolte dalla chiesa di San Rocco, che rimase con una campana sola; vennero inoltre sacrificate le uniche 2 campane della chiesetta di Santa Elisabetta; le campane di San Martino si salvarono.
Che tempi duri.
Finalmente nel dicembre del 1950 le campane di San Michele, commissionate alla ditta Barigozzi di Milano, furono ripristinate e da 8 diventarono 10.
Arrivarono su 10 camion, addobbate con nastri e fiori, in una piazza gremita di leffesi in festa; molti collaborarono ad innalzarle sul campanile mediante l’utilizzo di potenti corde.
Le campane vennero benedette dal Vescovo di Bergamo Mons.Bernareggi l’8 dicembre 1950; suonarono per la prima volta il 24 dicembre 1950: i campanari in quell’occasione furono, oltre al sottoscritto, Arturo Zenoni (Vapore) e Giuseppe Zenoni (Pì Fogn), anche l’allora parroco Don Davide Azzola suonò con noi: una forte emozione, un’immensa gioia.
Le nuove campane furono fuse in una fonderia vicino alla Stazione Centrale di Milano alla presenza del Parroco Don Azzola, del Sig.Giuseppe Gallizioli (Entürì) e di altri leffesi; c’ero anch’io con mio padre.
Anche la posizione delle campane non fu scelta facile: il Parroco voleva posizionare la campana più grossa verso Monte Croce, altri verso Gandino – Peia; ci fu una votazione ed il parroco andò in minoranza, praticamente rimase solo, e così ancora oggi la prima campana guarda verso i paesi di Gandino e Peia.
Le 10 campane furono offerte sia da privati sia dalla popolazione leffese:
la prima, dedicata a Cristo Re, venne offerta dal Signor Daniele Capponi, in ricordo della prima moglie Signora Anna Praderio che era deceduta da poco, il nome della signora venne inciso sulla campana;
la seconda, dedicata alla Vergine Addolorata, è dono del popolo e porta incisi i nomi dei fabbricieri di allora;
la terza , dedicata a San Michele Arcangelo, fu donata dai Fratelli Servalli Michele, Pastore e Francesco;
la quarta, dedicata a San Martino Vescovo, è ancora dono del popolo, come pure la quinta, dedicata a San Giuseppe;
la sesta, dedicata a San Rocco, è stata donata dai Coniugi Giudici (Lilì);
le settima, dedicata a Sant’Anna è dono della famiglia Granati, che ha magazzino a Brescia;
l’ottava, dedicata a San Luigi, è stata donata dalle quaranta donne nubili della Congregazione Figlie di Maria;
la nona , dedicata a Sant’Agnese, è dono della famiglia Castelli (Laté);
la decima, dedicata agli Angeli Custodi, venne donata dall’autotrasportatore Giacinto Della Torre.
Il mio giorno più bello da campanaro è stato sicuramente la Festa per l’Incoronazione della nostra Madonnina: a mezzogiorno hanno suonato a festa, contemporaneamente, i campanili di Leffe, Peia,Gandino, Cazzano Sant’Andrea, Casnigo e Barzizza.
Mi aiutò molto il campanaro Arturo Zenoni (Vapore).
Mi emoziono ancora adesso nel ricordare.
Ci tengo a dire che non ci sono mai state rivalità tra i campanari della Valgandino, anzi, ci si aiutava.
Campanari storici di Leffe sono stati i Pezzoli della famiglia “Pédrecc”e “Bernardì”; il campanaro più giovane che abbiamo in Leffe è Michele Nicoli che sta insegnando quest’arte ad alcuni ragazzi: è molto importante che la nostra tradizione campanaria non vada persa.
Una curiosità: solo Leffe, Gandino e Peia hanno 10 campane, gli altri paesi della valle ne hanno meno.
Il mio sogno? Che venga sistemata la barriera in legno, ora pericolante, della scale che salgono sul campanile di San Michele: potrei così salire per suonare ancora le mie care campane che amo da una vita.”
Il campanaro Tarcisio racconterebbe fatti, curiosità ed aneddoti ancora per ore ma si è fatto tardi; Floriano dice al padre che è ora di scendere in paese; salutiamo le Ceride e torniamo a casa per la cena.
Bruna
LA CAMPANELLA Campanella d’argento, del convento
qui presso: voce di lontana infanzia è in quel fresco tinnire, che mi giunge or sì or no nell’ore più raccolte della giornata; e meglio all’alba, quando mute sono le strade e muto è il cielo. Torno bambina: ho treccia al dorso, asciutte gambe di capriola, occhi ridenti pieni d’aprile: vo con la mia mamma a messa, per viuzze ancor nel sogno del primo albore, colme d’un silenzio abbandonato, che sol rompe un’eco di campanella: – oh, mai non fosse, mamma, venuto il giorno a dissipar quell’alba. Ada Negri |