La trascrizione tecnica dei suoni di campane. Breve introduzione al tema.
La trascrizione tecnica dei suoni di campane appare come una delle attività recenti sviluppate dai progetti di salvaguardia della tradizione campanaria. La difficoltà del compito del trascrittore non sta semplicemente nel fatto di entrare in un mondo musicale non convenzionale, ma di dover famigliarizzare con timbriche ben diverse da quelle degli strumenti accademici. Parliamo, in dettaglio, non di carillon di campane di stile fiammingo, con una timbrica sonora cristallina e una partitura consolidata, ma di concerti di notevole mole timbrica, non nel numero nelle campane, senz’altro più limitato rispetto alle torri del nord Europa, ma nelle dinamiche di suono.
Va sottolineato, in primo luogo, che la musica per campane o ‘la musica delle campane’ ha seguito un’evoluzione assolutamente propria rispetto alla storia della musica, caratterizzata da un repertorio composito: da un lato para-operistico o bandistico di fattura squisitamente ottocentesca; dall’altro lato imitatore e riproduttore della canzone di primo Novecento. In sostanza, un filtro dell’approccio popolare alla musica, quando non esistevano apparecchi di diffusione sonora, per cui la campana, come la banda o il canto, erano strumenti socialmente accettati e amati dalla gente.
Le modalità sonore delle campane, per quanto concerne il sistema di suono ambrosiano nella variante bergamasca e nelle sue testimonianze più concrete, sono fondamentalmente tre: il ‘suono a tastiera’ (detto ‘di allegrezza’ o ‘a martello’ o ‘a martellino’ o ancora ‘a festa’ a seconda delle aree della bergamasca), il suono ‘a corda’ (nelle modalità di ‘suono a distesa’ e ‘a concerto’) e il suono ‘alla romana’ (che miscela le prime due modalità per sottolineare in modo particolare il momento della festa).
Non vi è dubbio che l’attività primaria del trascrittore sia rivolta al suono d’allegrezza, forma compositiva ed esecutiva che si avvicina all’idea di musica in termini convenzionali. La sua trascrizione muove da documenti audio/video, che consente, nel primo caso, di vedere con precisione i movimenti delle mani sulla tastiera, supplendo, in questo caso, al deficit sonoro generato dall’accumulo di armonici generati dalle singole campane. La trascrizione convenzionale consente alla musica stessa di essere più credibile e di catturare l’attenzione di potenziali studiosi, musica stesa su pentagramma che invita allo studio gli occhi degli esperti. Il documento puramente audio è generalmente documento storicamente più arcaico e acquista valore storico in quanto consente di risalire in forma più diretta a modelli primigeni.
Una parentesi importante merita l’uso delle campanine nei processi di trascrizione. Non vi è dubbio che l’esecuzione di un brano possa risultare più pulita sul metallofoni e vetrofoni rispetto alle campane. Resta sempre da misurare la possibilità che il brano possa presentare variazioni tra l’esecuzione su piccolo strumento e l’esecuzione su campane, per il fatto che le campanine possono permettere passaggi d’agilità che non sempre il suono sui bronzi consente.
Gli attuali modelli e sistemi di trascrizione vengono realizzati tramite software, che consentono trasposizione tonale pressoché immediata dell’impianto originale (in genere quello del concerto su cui viene eseguita la suonata) a una tonalità di riferimento convenzionale, quale il Do maggiore. La trascrizione con supporto informatico offre in genere due possibilità: 1. trascrivere integralmente dalla tonalità originale (es. La maggiore, Si bemolle maggiore a seconda delle dimensioni dei concerto di campane); 2. trasporre il suono delle campane dalla tonalità di partenza al Do maggiore: tale processo presenta una serie di comodità per lo studioso ma rischia di generare a livello tecnologico armonici impropri che possono alterare la buona riuscita della trascrizione stessa.
La musica su cui ci troviamo a lavorare può presentarsi sotto due diverse forme: essere musica tramandata o essere musica di autore accertato. Parlare di musica per campane – classificata come musica tradizionale-popolare – non significa parlare di musica priva di autore. Piuttosto, nel concetto di patrimonio popolare, non esisteva l’esigenza della riconoscibilità dell’autore né tanto meno del diritto d’autore (Copyright), proprio perché il principale motivo del far musica era fare musica per la gente, comunicare alla gente. La musica tramandata presenta dunque la caratteristica di essere una raccolta di brani tramandati oralmente sino al nostro informatore più recente, il quale si fa carico – in misura più o meno consapevole – del rispetto della sincerità delle fonti. In molti casi abbiamo documentato un repertorio e abbiamo immediatamente chiesto la fonte di tale repertorio. Tale quesito ci ha consentito di fare notevoli salti nel passato. Musica appresa da campanari negli anni trenta del Novecento da campanari a loro volta più molto anziani, ci proietta con certezza quasi assoluta nel XIX secolo. In taluni casi abbiamo registrato la ‘tradizione’ o trasmissione del brano, in altri casi abbiamo potuto direttamente risalire all’autore del brano o al primo o ai primi esecutori di quel brano. Nel caso di un autore accertato si possono avere informazioni di prima mano sullo stile esecutivo, sui segni di espressione e sulla sequenza delle varie parti che costituiscono la composizione.
I criteri di trascrizione di una brano a tastiera possono variare in base al principio del pentagramma in chiave di Sol che abbraccia le 8,10,12 note della tastiera, oppure presentarsi con le note del basso in chiave in Fa e le note della melodia in chiave di Sol. A mio avviso, quest’ultimo stile presenta limiti di praticità, in quanto in molti repertori la melodia spazia dalle note più acute a quelle più gravi della tastiera, complicando notevolmente la lettura dell’esecutore, che si limita a muoversi sullo spazio di un’ottava e mezza. Un criterio di trascrizione ottimale può essere quello di porre il brano con melodia e accompagnamento su pentagramma in chiave di Sol, avvertendo di porre i bassi con note con gambo vero il basso contro le note della melodia scritte con gambo rivolto verso l’alto.
I problemi più rilevanti legati alla trascrizione dei brani a tastiera sono fondamentalmente cinque: 1. il ritmo; 2. il rapporto melodico-armonico tra le varie note del brano; 3. la sistemazione o correzione di un’esecuzione incerta; 4. la sistematizzazione della sequenza del brano; 5. le variazioni presenti all’interno del brano.
Vediamo in dettaglio le problematiche. Il ritmo risulta talvolta da sistemare in quanto gli esecutori presentano incertezze sul rispetto del tempo o tendono al ‘rubato’. Un dettaglio che viene tralasciato è quello di avere un’esecuzione in cui il suonatore tende ad accelerare. Non sempre si tratta di un effetto voluto, essendo inoltre musica per la maggior parte da ballo o marce, che prevedono un ritmo di esecuzione costante.
Un secondo aspetto da tenere in conto concerne il rapporto tra melodia e armonia all’interno del brano. I brani tendono a muoversi tra i gradi di tonica-dominante-sottodominante con passaggi al sesto grado per la realizzazione della cosiddetta parte ‘in minore’. Accade di notare accompagnamenti non sempre coerenti con l’andamento armonico della melodia. In tale caso si procede a una sistemazione per correggere eventuali errori involontari dell’esecutore.
Il terzo punto riguarda, più in generale, la presenza di passaggi incerti o non puliti per possibile vuoto di memoria dell’esecutore. A questo punto tocca al trascrittore un prudente lavoro di ricostruzione della melodia, rispettoso degli stilemi del luogo.
Quarto punto: la ricostruzione della sequenza del brano. Tradizionalmente le suonate per campane prendono spunto proprio dalla definizione classica del termine ‘sonata’, che si configura come bipartita o tripartita. Nella maggior parte dei casi si rileva la sequenza AABBAB. Si riscontrano varianti con BB finale per dare maggior enfasi alla coda del brano. Nel caso si possa disporre di diverse versioni dello stesso brano, si possono avere diverse sequenze. Nella trascrizione è possibile riportare le diverse sequenze per conoscenza dello studioso.
Quinto e ultimo punto: le variazioni della melodia. Caratteristico della musica orale sono le varianti dei passaggi, spesso rintracciabili nelle ripetizioni del tema (es. nella seconda A o nella seconda B). Questo fenomeno, che impegna indubbiamente il trascrittore in un lavoro di attenta disamina del pezzo, ha come effetto la registrazione di una marca di creatività da parte dell’esecutore.
In tema di suono a distesa, diversi sono i criteri da impiegare a seconda delle sue due sottomodalità: 1. il suono ‘a dondolo’, dato da sequenze disarticolate di cinque o otto note i cui suoni possono combinarsi liberamente (in generale con inizio delle campane minori per chiudere con le campane maggiori); 2. il suono ‘a scala’, prodotto da sequenze ben definite frutto di un lavoro orchestrale di più campanari coordinati da un direttore, con rispetto delle regole e della combinazione dei suoni, il cui risultato non è dato matematico ma una serie di suoni che possono essere scritti con segno di corona in virtù della diversa durata di suono di ogni singola campana.
La modalità di suono ‘alla romana’ vede la combinazione dei due modelli precedenti: la sequenza a tastiera precede generalmente quella a distesa, sebbene si possano avare forme ibride in cui le due modalità s’intersecano.
In conclusione, quanto abbiamo accennato disegna un panorama estremamente ricco e inatteso nei suoi risultati, che stimola non solo alla trascrizione ma all’analisi del brano, comprendendo il mondo che circondava un pezzo e la sua concezione. Dal suono, alla partitura; dalla partitura al contesto che l’ha generato.