Proteggere e stimolare i nostri bambini attraverso l’Arte della Musica
Oggi, ultima domenica di dicembre 2014, ricorre la memoria degli Innocenti, secondo la pagina del Vangelo di Marco (2,12-16) che ricorda la strage compiuta da Re Erode contro i bambini di Betlemme, un re che non aveva compreso quale nuovo sovrano dello spirito potesse contendergli il trono.
Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese. Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo». Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio. Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s’infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi.
Per esorcizzare la drammaticità dell’evento riportato da Marco, il mondo ispanico (Spagna, America Latina e ancora oggi Filippine) festeggia la giornata come Día de Inocentes rendendola una sorta di Pesce d’Aprile o April Fools’ Day anglosassone con scherzi di ogni genere, dove la vittima viene chiamata Inocente.
La riflessione sull’innocenza dei nostri bambini, su come possiamo crescerli dal punto di vista musicale e sulla loro tutela mi sorge all’indomani di una chiacchierata con amici musicisti attivi presso diversi corpi bandistici. L’argomento della discussione verteva sulle modalità di coinvolgimento delle nuove generazioni all’interno dei corpi musicali e del tipo di rapporto che si crea tra maestro e allievo. Qui si centra la riflessione del rapporto tra adulto e bambino e di come si possa trasmettere la musica ai bambini in modo efficace e costruttivo. Personalmente credo che un bambino sia un tesoro enorme da poter coltivare se presenta talento musicale. L’esperienza dell’insegnamento delle campane in quindici anni di attività mi ha insegnato che talento e volontà sono due fattori distinti: il talento è ciò che la natura fornisce mentre la volontà è un’energia che può essere convogliata, educata e cresciuta parallelamente al talento. Il lavoro fatto in questi anni mi ha dimostrato che vale di più un allievo mediocremente dotato ma di buona volontà che un allievo dotato ma pigro. Il risultato potrebbe nei due casi pareggiarsi, se non ché spesso è il talentuoso a rinunciare allo strumento proprio per scarsa propensione al sacrificio. Su tutto questo possono influenzare i genitori, sia in maniera positiva che negativa: far comprendere al proprio figlio il valore di ciò che si fa, abituarlo al sacrificio per ottenere risultati, non cedere di fronte ai capricci. Da genitori permissivi non escono grandi risultati; da genitori troppo severi si generano scontri sterili. La chiave di tutto, a mio avviso, sta nel comprendere come sviluppare il talento di un giovane se lo stesso manifesta costanza. Non sempre si compie una scelta oculata decidendo quale strumento affidare a un giovane andando contro i suoi desideri per il semplice fatto che manca una voce in una determinata sezione della banda: più di un ragazzo ha smesso di suonare perché non gli veniva fatto provare lo strumento che desiderava. Allo stesso modo trattare in maniera troppo severa o sbrigativa gli allievi più o meno portati o studiosi – purché questi siano educati e rispettosi – non è sempre produttivo, anche perché in diversi casi si tratta di lavoro e non di puro volontariato. A partire dalla mia esperienza personale, posso dire che le tante ore perse insegnando a suonare per volontariato a chi poi ha lasciato lo strumento sono state compensate da allievi divenuti oggi giovani musicisti di sicuro talento, che hanno spontaneamente chiesto di avvicinarsi a strumenti al di fuori delle campanine e che hanno apportato al gruppo delle campanine benefici enormi. Prendere in mano mandolino, organetto e poi fisarmonica, chitarra, basso, tastiera e poi organo e pianoforte, sono passi spontanei che l’insegnante deve intuire e assecondare. Molto spesso lasciarsi guidare da queste luci che spontaneamente appaiono nei giovani conduce a grandi risultati. Per questo motivo imporre strumenti o dire agli studenti che non si è assolutamente portati è a mio avviso controproducente, anche perché le risorse umane sono assolutamente inattese e imprevedibili nel loro sviluppo temporale. Da qui, nuovamente, il mio spontaneo riferimento al Vangelo di Matteo (18,1-5, 10):
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.
Da qui il mio invito a non stancarci di capire i talenti dei giovani, il che non vuol dire essere tolleranti verso le loro mancanze, ma cogliere le positività della natura che si possono sviluppare attraverso la musica: lavorare in gruppo, rispetto per gli altri, apportare creatività e vivacità, educarsi all’impegno e al sacrificio e, in ultimo, lavorare per una società e un mondo migliore anche e proprio attraverso la musica.