Editoriale: Il ruolo della memoria
A partire dal 2020, che potremmo simbolicamente indicare come Anno Zero come inizio di una nuova era, per drammatica che sia, abbiamo pensato di ricordare i campanari nati o defunti a seconda del progredire degli anni e del decennio che dal 2020 ci porterà al 2029. Lo scorso anno abbiamo ricordato Angelo Grataroli (nato nel 1901 a 120 anni dalla nascita); nel 2022 ricorderemo Tarcisio Beltrami, nato nel 1922, 100 anni fa. E questo ricordare chi ha dato alla tradizione induce inevitabilmente a riflettere sul ruolo della memoria che tali campanari hanno portato: il serbare fino a noi una memoria di un tempo che hanno vissuto, che non esiste più a causa dei profondissimi cambiamenti sociali occorsi, ma che raccoglie valori che possiamo mettere in luce, sottolineare e trasmettere alle generazioni future. La domanda che sorge spontanea è cosa sia veramente la memoria. Potremmo dire che la memoria è quella capacità di trattenere esperienze (e nel nostro caso suoni) di un tempo in cui i suonatori più anziani hanno esperito, conosciuto e sedimentato abilità che condividono in un tempo diverso dal proprio. I valori che possono trasmettere sono di eccezionale spessore perché in loro s’incarna non solo l’esperienza stessa vissuta dal singolo narratore, ma anche il contesto in cui tale operare s’inquadrava. Possiamo dire che gli informatori diretti hanno una qualità straordinaria, cioè quella di poter rappresentare e presentare con la propria voce gli eventi vissuti in prima persona. Questo marca una grande differenza rispetto alle memorie sui grandi compositori del passato, i quali sono ricordati attraverso libri, che grazie a Dio esistono, ma che non potranno mai confrontare l’efficacia del parlato e dell’orale il ricordo di una persona.
Quando leggiamo delle straordinarie abilità improvvisative di Vivaldi, Mozart, Beethoven, Chopin e altri giganti della musica, possiamo capire quale rilevanza abbia per noi oggi il narrato che abbiamo potuto cogliere dal vivo, cioè da persone che hanno provato in prima persona esperienze di straordinaria rilevanza culturale. A tale proposito penso ai racconti del campanaro Tarcisio Beltrami, il quale aveva avuto la possibilità di suonare con un campanaro di Gandino, Giovanni Nodari detto Giovanni Manèch, quasi certamente il campanaro più antico di cui si abbia testimonianza diretta: era stato campanaro ufficiale dal 1902 al 1953. Tarcisio Beltrami aveva appreso da lui alcune suonate quando esercitava da bambino il mestiere di ciabattino in piazza a Gandino, all’ombra del campanile. La conservazione e la trasmissione di ricordi così lucidi sono di enorme valore storico perché permettono di poter conservare gesti, consuetudini, procedure che oggi sono state stravolte, trasformate, adattate al contesto sociale sia il contesto sociale. Resta la grande eredità della memoria, un contenitore straordinario che racchiude in sé il fuoco dell’esperienza e la dimensione che circondava questo fuoco, che regolava il mettere in atto di una serie di procedure di suono che oggi sono rimasti intatte, ma il cui contorno è stato profondamente modificato.
Dunque, la memoria assume il ruolo di ‘trasmissore’ di conoscenze e di realtà trascorse, dal quale il narratore riesce sempre a ricavare valori da trasmettere. Questa, In sostanza, credo sia la grande qualità degli informatori di valore, i quali non si limitano a raccontare esperienze personali, ma sanno contestualizzare il vissuto in quanto hanno riflettuto su ciò che hanno vissuto. Riflettere su ciò che si è esperito e s ciò che si è vissuto segna una profonda differenza rispetto alla mera trasmissione di dati in quanto il dato è una cifra in sé nuda e fredda se non è supportata dal contorno che dà valore alla comunicazione del singolo elemento.
Per i giovani e giovanissimi di oggi che si avvicinano alla nostra tradizione, la conoscenza del valore e la conoscenza della pratica nella sua forma più antica resta un punto di riferimento imprescindibile. Molti dei nostri suonatori giovani sembrano davvero aver ereditato una serie di attitudini che li portano a entrare in simbiosi assoluta con coloro che li hanno preceduti nel mondo delle campane. Non è solo semplice passione, ma capacità d’immedesimarsi nello stile, nel repertorio e nelle dinamiche pur vivendo, almeno cento anni dopo, in un momento e in un tempo profondamente diverso, altamente tecnologizzato, temporizzato, regolato da molte norme che, in molte circostanze, ha minato le relazioni spontanee vigenti all’interno dei vari settori della società. Ben venga quindi d’analisi e la riscoperta di questi valori, che possono essere per noi insegnanti e per i giovani allievi fari di costante luce per poter mantenere nella sua forma primigenia un fiore musicale di bellezza inalterata.