Cronache campanarie: la tradizione dell’Angelì risuona sui bronzi di San Giovanni Bianco

Appuntamento con la tradizione del suono a tastiera sabato 7 maggio 2022 sul campanile di San Giovanni Bianco. Iniziativa inquadrata nell’ambito dei festeggiamenti e della memoria del campanaro locale Angelo Grataroli e dei 155 anni delle campane della Chiesa Parrocchiale, fuse dalla fonderia Monzini nel 1867. Un appuntamento organizzato con un programma di suono che ha offerto brani della Valle Brembana e della Valle Seriana, con omaggio alla tradizione religiosa e suono alla romana secondo la tradizione locale. Il suono a tastiera è una delle peculiarità nella tradizione bergamasca, che si differenzia rispetto a quella bresciana, milanese e lombarda in generale per il fatto di avere brani fondati sulla struttura melodica sostenuta da un solido accompagnamento. Tuttora da indagare la ragione per cui la tradizione bergamasca si differenzi dalle altre, che in comune con quella ligure prediligono l’elaborazione della melodia. Nel caso invece della tradizione orobica, possiamo dire che si rileggono influssi degli strumenti d’accompagnamento e da festa quali la fisarmonica o strumenti di carattere sacro quali l’organo. La campana e le campane sono uno strumento che intercettano diverse sensibilità, da quella prettamente religiosa a quella civile profana, della festa comunitaria, e che sul campanile porta e trasmette tali intercettazioni della tradizione.

È estremamente interessante analizzare la peculiarità di tale suono che si differenzia a seconda delle zone della bergamasca e dei repertori dei singoli paesi. Questa modalità di suono estremamente elaborata nasce probabilmente agli inizi dell’Ottocento quando si diffondono i suoni della musica da ballo di coppia di derivazione centro europea: sono quindi i valzer, le polche e le mazurche a soppiantare i tradizionali balli a cerchio in cui tutta la comunità veniva coinvolta. Passando al ballo a coppia, la relazione a due, sebbene di dimensione assolutamente pubblica, diviene tuttavia maggiormente personale. Non per nulla nelle parlate locali andare al ballo veniva detto ‘essere sul ballo’, a indicare una sorta di pedana dove ci si metteva in evidenza, ci si esponeva agli occhi altrui.

Le campane hanno custodito tale preziosa memoria, l’hanno coltivata nel corso dei secoli sino a portarla ai giorni nostri con un repertorio che a partire dall’Alta Valle Brembana attraversa tutta la terra orobica: con i centri di Moio de’ Calvi, Roncobello, Lenna, scendendo a San Giovanni Bianco e proseguendo con Zogno, Poscante, Endenna, Grumello de’ Zanchi, scendendo ancora verso Villa d’Almè e poi allargandosi verso Almenno San Salvatore San Bartolomeo, digradando verso la città, passando attraverso Sorisole, Ponteranica e poi ancora spingendosi nella pianura con Bottanuco, Boltiere, Suisio e la fascia che costeggia l’Adda, e da lì volgendo lo sguardo verso tutta la pianura orientale che si proietta verso Palosco, risalendo poi la zona del lago e rientrando in Valle Seriana con Villa di Serio, Ranica, Nembro, Albino, Vertova e tutta la Valle Gandino, giungendo infine alle alte propaggini del Serio, con Ardesio e le testimonianze della Valle di Scalve, che sfumano nello stile ben più sobrio della bresciana Valle Camonica.

Lo stesso suono a tastiera prende denominazioni diverse a seconda delle zone della bergamasca. Nel caso di San Giovanni Bianco, che prelude all’inizio dell’alta valle, si usa il termine ‘suono a martello’, mentre scendendo nella vallata di Zogno si parla di ‘suono a festa’, e, scendendo ancora, si trova ovunque il termine allegrezza, l’allegria per la nascita di Gesù che veniva segnalata dai pastori con cornamusa e baghèt già in epoca medievale, in seguito tramutata nella poesia e nel suono delle campane che hanno conservato una tradizione plurisecolare. E a questa tecnica, semplice o complessa a seconda di come la si possa guardare, si accompagnano moltissime narrazioni, aneddoti da parte di chi ha vissuto il suono delle campane sia in un’epoca precedente alla nostra, in cui rivestivano un ruolo sociale strategico, sia per chi ha prodotto gli strumenti per il suono, vale a dire le campane stesse. E la Fonderia Monzini, con la gran quantità di concerti fusi tra XIX e XX secolo, resta testimone di una ricca produzione bergamasca.

I Monzini provenivano da Martinengo, e storicamente fusero la loro famiglia con quella dei Gavazzeni che provenivano dalla Valle Imagna. Testimonianza di quest’unione fu poi la nascita e il successo del grande maestro e direttore d’orchestra Gianandrea Gavazzeni, che nel 1963 pubblicò una raccolta di riflessioni intitolata emblematicamente Le campane di Bergamo, in cui il maestro traccia con penna intellettuale, poetica ma profondamente orobica il sentire delle campane da parte della gens bergamasca. Un sentire che, sebbene non sia mai annunciato a tutto volume, prosegue costante nei secoli. Ed è per questo che il detto bergamasco ‘sòta la brasca’ – cioè sotto la cenere che, seppur debole, ancora arde – prova come la passione perduri inalterata e continui a raccogliere nuovi adepti, come quelli del video che offriamo in questa nuova esperienza. Grazie a tutti per la sensibilità mostrata verso le nostre iniziative. Per maggiori informazioni sulla riscoperta della tradizione e sulla formazione dei giovani, contattare l’indirizzo info@campanaribergamaschi.net

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