Ricordo del campanaro di San Martino Oltre La Goggia Giuseppe Rizzini (1922-2022).
Tra i pochi campanari rimasti nella memoria nell’Alta Valle Brembana, a dieci anni di distanza dalla morte, teniamo ricordare la figura di Giuseppe Rizzini, che fu suonatore a San Martino oltre la Goggia. Nato nel 1922 e morto dieci fa oggi, resta una delle poche memorie storiche del suono delle campane presso l’Arcipresbiterale di San Martino. La parrocchia di San Martino fu una delle primissime nel ripristinare nel 1948 un concerto completo dopo la requisizione bellica occorsa tra il 1942-1943. Tuttavia, San Martino fu la prima recuperare un concerto completo tuttora in uso con doppio sistema completo di corde e tastiera. La narrazione di Giuseppe Rizzini, vivace e corollata da dettagli, viene supportata da una serie di immagini che ci sono state fornite dallo studioso Roberto Boffelli, collezionista di istantanee storiche prima dell’innalzamento del campanile nella sua veste odierna.
Rizzini iniziò a suonare a corda e a tastiera fin da ragazzino, nel 1936. Prima dell’innalzamento del campanile, la torre campanaria ospitava cinque campane Monzini in Do3 del 1821. Nel 1903 il concerto venne portato a otto con tre campane fuse da Cavadini di Verona. Quattro vennero tolte nel 1942. Rizzini a quell’epoca era a militare. Molte sono le narrazioni circa il suono delle campane di San Martino e della Madonna della Coltura, con l’emblematico Santuario di Lenna: spesso le campane venivano spostate da una chiesa all’altra nei secoli scorsi. Le campane della Coltura non vennero portate a San Martino ma restarono a Lenna, anche durante la Seconda Guerra Mondiale. Per le nuove campane tutti avevano contribuito. Quanto alla timbrica, le nuove campane del 1948 fuse da Ottolina di Bergamo erano però risultate inferiori a quelle attuali, a quanto diceva il padre di Rizzini, organista e direttore di coro. Quelle di prima avevano maggiore quantità di argento e le restanti della requisizione erano state reimpiegate per la nuova fusione, che vedeva il metallo dato dal Ministero dei Trasporti in misura proporzionale alla quantità asportata durante la guerra.
Il suono ‘a martello’. Questa definizione è diffusa in tutta l’Alta Valle Brembana per indicare il suono a tastiera. Racconta Rizzini: “Il suono per i battesimi all’ordine del giorno. Suonavano l’Arciprete Don Serafino Donzelli e il fratello. Noi abbiamo imparato da loro e dal sacrista Serafino Begnis. Era cantore del coro che dirigeva mio padre Serafino (1893-1963). Repertorio religioso e canti di montagna: In quell’Ostia Consacrata, Ave Maria, Sul cappello che noi portiamo. Tutti si prestavano a suonare a distesa, e per il suono martello, già da ragazzi ci si arrampicava per agganciare le campane.
Il primo castello era in ghisa, mentre la tastiera era in legno con relativi meccanismi. La disposizione di oggi è uguale a quella di una volta, prima delle campane del 1948. Una volta c’erano scale interne con pianerottolo intermedio in legno per agganciare i batacchi. I segni erano ben distinti a seconda delle circostanze, soprattutto per il suono funebre. Per il suono a morto si suonavano settima e ottava. Se una persona moriva fuori paese, si faceva un segno con l’ottava e poi si suonava la settima. Quando moriva una donna si facevano due segni, mentre se era un uomo, si facevano tre segni. Se invece moriva un sacerdote si suonavano tutte le campane ogni ora.”
La memoria di Giuseppe Rizzini resta una testimonianza importante in una zona della bergamasca che, seppur non avendo mai avuto un alto livello di suono di campane a distesa e la tastiera, ha sempre visto un grande numero di volontari presenti attorno alla vita dei campanili. A tale proposito citiamo il campanaro di Roncobello Francesco Gervasoni (1921-2006), il campanaro di Moio de’ Calvi Giovanni Calvi (1901-1973) e il sacrista campanaro della Coltura recentemente scomparso, Sergio Gozzi (1926-2020), che fu tra i primi maestri dei nostri giovanissimi allievi della Scuola Campanaria di Roncobello. Grazie alla memoria di Giuseppe Rizzini, che riproduciamo in questo video realizzato dieci anni fa, e alla memoria il materiale fornito da Roberto Boffelli, nelle parole e nel suono resta la memoria e l’immagine dei nostri avi.