La tradizione del suono delle campane in Spagna: articolo su ‘El País’
Presentiamo qui la versione tradotta di un interessante articolo apparso sul quotidiano nazionale spagnolo ‘El País’ (sezione supplemento) il giorno 17 dicembre 2018. La giornalista Ana Moraleda compie una panoramica del processo di rivitalizzazione della tradizione del suono manuale delle campane a partire da Valencia e aventi come protagonisti di primo piano i campanari giovani e giovanissimi.
GLI APPASSIONATI CHE SUONANO A MANO LE CAMPANE
Per secoli sono stati i social network dei paesi: annunciavano le morti, lanciavano l’allarme per gli incendi, persino indicavano dove bisognasse portare i greggi di pecore. Gruppi di appassionati salgono oggi sulle torri dei campanili per recuperare il suono e il valore del patrimonio.
Non si veste da frate né è un uomo di chiesa. Eliseo, dell’età di 30 anni, è campanaro della cattedrale di Valencia, dove si trova uno dei gruppi campanari più vivaci di Spagna impegnati nel recupero del suono manuale delle campane di fronte agli impianti elettrici. Attivo nel recupero culturale del suono delle campane, si presenta alla torre del Micalet, che ospita le 11 campane della cattedrale, con lo sguardo nascosto da occhiali da sole all’ultima moda; veste pantaloni aderenti di colore nero e scarpe sportive dello stesso colore. I membri della sua associazione, i Campaners, non hanno l’aria di gente da movida. Sebbene gli strumenti suonati e le partiture siano antiche, i suonatori sono giovani. Eliseo, insieme ad altri 15 campanari, si esalta e salta per far roteare le campane durante i giorni di festa. Circa 60 volte all’anno. Generalmente suona la Jaume, di circa 17 quintali. Ma la cosa più bella, racconta, è fermare la campana di nome María, quando gira impazzita muovendo i suoi 40 quintali di peso. “Quando la si afferra trema tutto il corpo. Si muove molta energia all’interno”, afferma.
Sebbene non abbia avuto antenati campanari in famiglia, dall’età di 15 anni vive legato al suono dei bronzi. Si produce molta adrenalina nel vederle muoversi a tutta velocità e a pochi centimetri dal viso. Quando non tirano le corde, le campane sono mosse dal motore, come nella maggior parte delle cattedrali di Spagna. Gruppi di appassionati sul territorio cercano di recuperare le campane dallo stato di sonno in cui sono sprofondate dopo la loro automazione negli anni ’70, fenomeno che aveva condannato i campanili all’abbandono. A partire da quel momento è iniziato a sparire il suono che aveva guidato le comunità e che aveva dato loro un’identità. I campanari non sono nostalgici, rifiutano qualsiasi tipo di etichetta folkloristica. Sanno benissimo di suonare in città che si emozionano maggiormente per l’arrivo del 5G, dove il suono non avvisa più della chiusura delle porte cittadine e dove il wi-fi arriva sino alla cima del campanile.
Le campane erano stati i social network dei paesi e delle città in epoca medievale, quando la luce elettrica non esisteva e neppure gli orologi. Avvisavano dello scatenarsi di un incendio dell’inizio della giornata lavorativa o in quale campo bisognasse portare il gregge. Incitavano persino alla sollevazione popolare, come accaduto in Messico con la campana chiamata Dolores, che aveva chiamato alla ribellione contro le autorità spagnole nel 1810. Ora che le notifiche riempiono gli smartphone con le ultime notizie e che le guerriglie si fanno direttamente sui gruppi di Facebook e che la chiesa ha ridotto la propria attività, e con essa i suoni che chiamano al culto, che ruolo svolgono questi strumenti? Secondo il Gruppo Campanari della Cattedrale di Valencia, questa espressione culturale può sopravvivere solo se si adatta ai cambiamenti sociali. “Non suoniamo per annunciare le messe, i matrimoni e i battesimi. Tradizionalmente suonavano per gli eventi che riguardavano le comunità. Questo è il dato interessante. Ora ciò che invece possiamo fare è esprimere i sentimenti della città nei giorni di festa. Ci rallegriamo o ci rattristiamo insieme a lei”, spiega Francesc LIop i Bayo, antropologo e maestro campanaro. I suoni della preghiera quotidiana sono ormai svolti dai computer. Quando i campanari si trovano nella cella campanaria per effettuare il suono manuale spengono il quadro elettrico. La cattedrale di Valencia ha in calendario 64 eventi in cui vengono suonate le campane manualmente, tra cui Natale o la Settimana Santa.
I Campaners d’Albaida, altro gruppo di riconosciuta tradizione nella conservazione del suono manuale nella zona, lo scorso 25 Novembre 2018, in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne hanno suonato un colpo per ogni donna assassinata nel 2018. E quest’anno hanno suonato per festeggiare i cento anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale.
Il miglior modo per aggiornare il software di questo mezzo di comunicazione tradizionale è dato dai giovani che riempiono le associazioni. Nella Comunità Valenciana l’associazionismo nel mondo delle campane è in fermento. Sono circa 30 i gruppi che fanno suonare le campane manualmente. Il modello si diffonde ad altre città come Zamora, León, Pamplona, Burgos, Santiago De Compostela o Lleida. Anche in Europa, con gruppi forti a Utrecht (Olanda), in Italia in Inghilterra. Antonio Ballesteros, 33 anni, è il presidente del gruppo di Zamora, che conta circa 100 associati. Si muovono con campane mobili per la provincia per far conoscere 22 tipi di suono caratteristici della regione. “Ci sono molti paesi dove non ci sono più campanari, ma siamo riusciti ad affrontare il problema per tempo”, afferma. Le associazioni sostituiscono quelle figure che hanno iniziato a scomparire col fenomeno dell’automazione. Una falsa modernizzazione secondo Ballesteros, che si muove ovunque senza rispettare la diversità dei suoni tipici di ogni zona. Ne è derivato un suono standardizzato che non tiene presente il valore del patrimonio che le campane portano con sé. Si perde il modo di far suonare le campane diversamente a seconda dei luoghi. Quelli di Valencia suonano in un modo, quelle di Madrid in un altro, e quelle dell’Andalusia, quelle italiane e quelle inglesi in un altro modo ancora, spiega. L’Associazione dei Campanari di Valencia, per proteggere la tradizione del suono, fanno ricerca su un ambito poco studiato in Spagna. Hanno creato una rete di documentazione che offre molte informazioni agli appassionati.
Eliseo, che si occupa esattamente di questo ambito, percorre in fretta le strette scale a chiocciola del campanile della cattedrale di Valencia, una torre che risale al XV secolo. I gruppi di turisti pagano €2 per salire in cima. Nel frattempo utilizza con grande agilità lo schermo del cellulare rispondendo tra una cosa e l’altra ai messaggi. Gli manca poco per presentare la sua tesi dottorale. La passione per questa forma di cultura non nasce oggi. Come detto prima, quando aveva 14 anni le campane lo facevano impazzire: non parlava d’altro. Dopo aver insistito molto con sua mamma, quest’ultima si era messa a cercare sulle Pagine Gialle: aveva telefonato in vari posti fino a incontrare alla fine i campanari di Valencia. Con gli anni la passione è diventata materia di studio. Tutto il tempo viene assorbito dal lavoro di ricerca sul campo. I campanari vecchio stile stanno scomparendo e bisogna documentare le varianti di questa arte espressiva che è servita per fare comunità, spiega. Le campane potevano dire se chi era morto fosse uomo o donna, ricco o povero, dice Ana Barba, campanara di Yeste. Un esempio è proprio questo paesino di circa 2000 abitanti della Sierra del Segura, nella provincia di Albacete, a sud di Valencia. Ana Barba, dell’età di 42 anni, ha rilevato l’incarico del padre tre anni fa quando quest’ultimo era salito per l’ultima volta in cima al campanile della chiesa di Asunción de Nuestra Señora. Ora Ana, i piccioni e gli escrementi sono gli unici ospiti della torre, come nella maggior parte delle chiese spagnole. Nei giorni di festa deve superare ogni tipo di ostacolo per arrivare in cima al campanile, che si trova in una condizione di assoluto abbandono. Dopo aver superato la prova, lega una corda a ogni campana. Ogni campana ha un nome: Maria, Gloria, Isabela e Juana. Una volta legate, le tiene ferme con piedi e mani e si posiziona in mezzo alla cella campanaria. Spiega che le campane raccontavano e annunciavano al popolo ciò che accadeva. Ad esempio suonando a morto potevano dire chiaramente se fosse defunto un uomo o una donna: questo si capiva dal suono finale, o ancora annunciavano se si trattasse della morte di un ricco o di un povero. Prosegue con passione una tradizione che risale per lo meno sino al bisnonno. Il padre, Federico Barba, di 86 anni, un uomo piuttosto asciutto di modi, le ha trasmesso le tecniche di suono. Il padre a sua volta aveva appreso da bambino, quando faceva il chierichetto, dalla nonna Segunda, che aveva insegnato anche alla figlia Matilde, madre di Federico, che fu sino alla morte campanara ufficiale del paese. Saliva ogni giorno sul campanile, a volte era impegnata tutta la sera. Non percepiva alcun compenso, tranne qualche contributo dagli abitanti. Federico si era poi trasferito a Barcellona e al suo ritorno le campane erano state elettrificate. “Suonano ovunque allo stesso modo, hanno perso sapore”, dice seccamente. Ora, quando sua figlia si mette al comando dei batacchi, tutti i vicini lo notano. “Sta suonando Ana”, dice a Federico un passante. Gli appassionati, che abbondano su tutto il territorio nazionale, hanno accettato all’unanimità una regola: tra loro si parla solo di campane, per cui niente politica, niente calcio nei religione. Si tratta di un gruppo nazionale di WhatsApp che viene utilizzato per condividere foto dei luoghi più nascosti e i cui partecipanti hanno spesso ideologie opposte. Ci sono indipendentisti, militari, di tutto. Sul gruppo di WhatsApp carichiamo video di luoghi che altrimenti non potremmo conoscere, racconta Jean Alepuz, campanaro di 26 anni che compie ricerche sui fonditori di campane di produzione industriale nella zona di Valencia. Grazie a questo lavoro comunitario le associazioni sono riuscite a compiere dei passi in avanti in materia di protezione. Lo scorso mese di ottobre il consiglio per il patrimonio ha approvato l’inclusione del suono manuale tradizionale delle campane all’interno del patrimonio culturale immateriale, definito come ‘manifestazione rappresentativa’. Questo rappresenta il primo livello di protezione e tutela del suono delle campane a livello nazionale. Tale misura servirà far sì che campanari possono difendersi contro la legge sull’inquinamento acustico, che negli ultimi anni ha dato ragione a circa 500 persone che avevano fatto denuncia contro le campane per poterle zittire. Alle campane resta ancora molto da dire.
(Traduzione di Luca Fiocchi, Università Cattolica di Brescia)
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