Sacristi custodi delle nostre chiese
I drammatici eventi degli ultimi mesi hanno portato via alcuni dei sacristi attivi nella diocesi di Bergamo. Tra questi ricordiamo i sacristi di Palazzago e di Songavazzo, emblemi dell’impegno e della passione per la Chiesa. Ci è parso allora doveroso rendere omaggio alla figura del sacrista, alla sua opera di custode e conoscitore dei patrimoni delle chiese orobiche, musei e custodi della fede. Andrea Alborghetti, che ringraziamo, ha preparato un articolo a partire dalla sua esperienza di organista e campanaro, tracciando un profilo dell’immagine e del carisma del sacrista.
Se le pareti delle nostre bellissime chiese potessero parlare, se quelle statue di santi, di profeti e di patriarchi collocate nelle possenti nicchie delle navate potessero esprimersi, certamente non si dimenticherebbero di raccontarci delle figure dei sacristi. Tra le moltissime persone che passano del tempo nelle nostre chiese, il sacrista è forse tra le persone meno notate dalla gente e, probabilmente, più dagli occhi di Dio. Egli passa la maggior parte del suo tempo nel nascondimento.
Lavora, pensa, prepara, sistema… e lo fa con quella dedizione e passione che probabilmente solamente gli artisti hanno. Quando la festa della Madonna del Rosario si fa sempre più vicina, eccolo che comincia a preparare l’altare, ad assemblare le parti del trono, a controllare che tutte le candele siano cariche e al posto giusto, quasi sempre da solo o al massimo con qualche aiutante di fiducia per potercela fare in meno tempo.
È sempre il primo ad entrare in chiesa ed è anche l’ultimo ad uscire, spesso senza rifiutare la chiacchierata con il parroco o con la donna che si occupa delle tovaglie e dei fiori. Il sacrista è un vero appassionato della sua chiesa; ha presente ogni angolo di quella grande “casa”, ne conosce i nascondigli più improbabili, i segreti più bizzarri che custodisce assai gelosamente, quasi che il rivelarli possa essere considerato pari ad un peccato veniale.
Soprattutto in passato, il sacrista era anche colui che suonava le campane per le Messe e per le “Ave Marie”, che suonava l’allegrezza nei giorni delle Novene, che caricava l’orologio manuale della torre ogni giorno e che quando riceveva la telefonata del parroco con la notizia che qualcuno della parrocchia era in punto di morte, usciva prontamente di casa per andare a suonare la campana dell’Agonia. Un uomo che scandiva il tempo e che, in un certo modo, viveva anche dentro quel tempo segnalato attraverso il rintoccare delle campane.
Ma se allora le statue potessero veramente parlare, che cosa direbbero? “Meno male che c’è il sacrista, che mi fa respirare quelle due settimane all’anno per la mia festa” dice la statua del patrono S. Giovanni Battista. “Mi ripulisce per bene dalla polvere e mi fa ritornare come nuovo, pronto per uscire in processione sul trono portato a spalla. Ah! E se non ci fosse lui a dare un occhio, ogni anno rischio di perderci la testa contro quella porta, sempre troppo bassa per la mia altezza!”.
Sembra che anche la statua dell’Assunta approvi, lei che ha anche il suo vestito bello e che può mettere in mostra soltanto ad agosto. La statua di Mosè, nella nicchia sopra la porta laterale, ricorda quante volte sia stata guardata dal sacrista, poco prima del sacramento della confessione e quella di Aronne, con il turibolo in mano, gli abbia fatto ricordare che c’erano da comprare i carboncini quasi finiti per l’incenso. Sopra l’altare maggiore, il Crocifisso non dice nulla. Si lascia amorevolmente contemplare, in un silenzio di innata devozione, dai soli occhi ormai stanchi del sacrista, prima che questi chiuda come sempre la chiesa al tramonto.
Quanti sacristi si sono succeduti nelle nostre diverse comunità e quanti hanno saputo tramandare, di generazione in generazione, quei ricordi, quelle testimonianze, quegli esempi a volte di un passato non più recuperabile ma che comunque è in grado di portare con sé tanti e validi insegnamenti anche per il presente.
Ricordiamo i diversi sacristi che sono recentemente morti nei nostri paesi anche a causa dell’attuale epidemia e ricordiamoci della loro testimonianza preziosa in tutte le nostre comunità cristiane.